Ad Abomey qualcosa sta cambiando
Ad Abomey qualcosa sta cambiando
La solita giornata assolata e rovente ci accoglie ad Abomey. Attraversiamo il mercato
pieno di venditori che si accalcano a voler catturare i pochi che fanno acquisti, si vende
di tutto dal pesce fritto al peperoncino, al pane esposto in panieri, la merce esposta
per terra nella polvere, su di una stuoia, i mucchietti di pomodori non si possono scegliere,
chi compra deve prendere tutto il mucchietto che è stato preparato.
Qualsiasi prezzo deve essere discusso, fa parte delle usanze, chi compra decide il prezzo
insieme a chi vende dedicando a questo tutto il tempo necessario.
Dietro al mercato raggiungiamo il portone che separa l’orfanotrofio dal resto del mondo,
dietro a quella porta tutti i rumori esterni non si sentono più, nel cortile assolato
scappano in tutte le direzioni i lucertoloni colorati che abitano dovunque.
Un secondo cancello divide la zona d’ingresso da quella dei bambini, alcuni di loro
ci scorgono e cominciano a dare l’allarme generale, sono arrivati gli yavò (i bianchi),
per loro è festa, è una novità, un diversivo alle loro giornate tutte uguali, sanno che
qualcuno è arrivato per loro e si sentono pieni di considerazione.
Qualcuno ci corre incontro e si butta nelle nostre braccia, altri si accalcano dietro
al portone, ma una mano adulta li ricaccia dentro, c’è fermento e anche io non vedo l’ora
di toccarli tutti e di passare un po’ di tempo con loro.
Come sempre non so cosa troveremo, ci saranno tutti? Sappiamo per certo, perché le suore ci
avevano informati, che tre dei piccolini se ne sono andati, ma veniamo a saper che in realtà
i bambini deceduti sono cinque.
Questi bocconi amari sono diventati qualcosa che abbiamo imparato ad accettare, questa
è una realtà in cui i più deboli soccombono anche se le suore fanno del loro meglio per dare
quello che possono.
Veniamo ricevuti da suor Pancrazia che è felice di vederci, ci scambiamo notizie e
informazioni riguardo ai bambini e al progetto che stiamo portando avanti, decidiamo di
incontrare il responsabile della ditta che porterà avanti i lavori per avere un preventivo,
dopodiché andiamo sotto la pajotte dove i bambini ci aspettano.
Sono quasi tutti là all’ombra, mancano i più piccoli, ma uno alla volta arrivano correndo
e saltellando, notiamo che come sempre sono stati vestiti, ma dall’odore non direi che sono
stati lavati!
Non fa niente, sono i miei bambini e io li adoro, col nodo alla gola e qualche lacrima di
commozione comincio a prenderli in braccio uno alla volta e loro si stringono forte al mio
collo, il tamburo comincia a suonare e le voci iniziano a cantare il benvenuto a tutti noi,
balliamo e cantiamo con loro e alla fine distribuiamo i tanto attesi bon-bon di cui siamo
sempre ben forniti.
Uscendo nel cortile in cerca di aria vedo una donna anziana con un bimbo piccolissimo che
piange e con la bocca cerca il seno, insieme a loro una signora sulla quarantina, chiedo se
hanno latte per il bambino, ma mi rispondono di no e dicono anche che devono ritornare al
villaggio che è lontanissimo. Propongo di dare io il latte al piccolo e la cosa viene
accettata, lo porto dentro e insieme ad Antoinette prepariamo un bel biberon di latte che il
piccolo beve con soddisfazione, poi gli mettiamo un vestitino che abbiamo portato
dall’Italia e predisponiamo insieme alla suora un rifornimento di latte dopo aver saputo che
la nonna pretendeva di allattare il bambino! Quando riporto il bambino alla nonna e chiedo
chiarimenti riguardo all’allattamento, lei si tira fuori un seno da sotto la maglietta e
stringe il capezzolo fra le dita per far uscire il latte, ma non viene fuori niente e il
seno non è affatto invitante! Decidiamo che la signora più giovane la quale parla bene
francese e che è amica della donna, verrà da suor Pancrazia a prendere il latte per il
bambino, ma intanto gliene fornisco due barattoli e chiedo che a novembre mi vengano date
buone notizie del bambino, la signora mi assicura che farà del proprio meglio. Li guardo
mentre si allontanano Speriamo bene piccolino!
Ho deciso di fare un piccolo corso di formazione e ho portato con me biberon e
sterilizzatore, questo è un piccolo gesto che spero sia utile per evitare alcune forme di
infezione che tanti piccoli contraggono qui e per le quali poi muoiono. L’abitudine è di
dare il latte sciogliendo la polvere in un tegamino e somministrarlo poi con un grande
cucchiaio o direttamente da un bicchiere, il tutto per dei bambini estremamente debilitati
e privi di difese come lo sono i neonati, procura seri rischi di salute. Susanna e
Antoinette sono le mie assistenti e collaboratrici e attorniate e assalite continuamente dai
bambini viviamo insieme al lavoro un’esperienza di indicibile gioia.
Scelgo due persone per insegnare loro l’uso del biberon, una delle due parla francese,
l’altra non è mai andata a scuola e parla solo il dialetto locale, ma con l’aiuto della
prima ci capiamo.
Occorrono due giorni e alla fine ci sono le prove generali: viene dato il biberon a un
piccolino di meno di un mese il quale lo svuota in meno di due minuti e che alla fine è
sazio e soddisfatto, le addette si impegnano a prendere e mantenere quest’abitudine, regalo
una piccola mancia per incoraggiarle e dico che a novembre quando ritornerò verificherò
quello che hanno fatto e ci sarà un regalo per loro se il lavoro sarà stato fatto bene.
Lo so che questo può sembrare strano, ma abbiamo dovuto imparare a capire la gente del posto
e cercare il modo più utile per farla lavorare volentieri coi bambini, le donne che lavorano
negli istituti vengono soltanto pagate con il pranzo e la cena e spesso è questo l?unico
motivo che le porta a dedicarsi ai bambini.
Durante il viaggio precedente mi ero lamentata con le suore perché i bambini mangiano per
terra, sul cemento e nella polvere, avevo cercato di spiegare l’importanza di tenere il cibo
sollevato da terra dove i bambini, privi del pannolone fanno anche la pipì.
Durante i giorni che siamo stati ad Abomey ad un certo punto è arrivato il falegname con
tanti tavolini e tante panchettine per i bambini, nel vederlo mi si è aperto il cuore,
perché ho capito che il messaggio era arrivato e che parte dei soldi che avevamo dato erano
serviti anche a questo, ne ero felice .I bimbi si sono tutti seduti, urlavano con le loro
vocine festose e battevano le manine sui tavolini, per loro era un gioco, una splendida
novità, qualcosa di mai visto prima.
Guardando quei piccoli bambini di due tre anni leggevo la gioia nei loro occhi e pensavo che
mai avevano visto o toccato un giocattolo, che mai avevano avuto una festa di compleanno e
mai avevano camminato su un prato fiorito, piccole vite sospese tra il cemento e il caldo di
un istituto che è tutta la loro vita e che racchiude tutto il loro futuro, eppure nessuno
piange o fa i capricci, nessuno chiede più di ciò che riceve, i loro occhi sono pieni di
qualcosa che non dipende affatto da ciò che hanno o che non hanno ed è qualcosa che toglie
l’ansia e l’angoscia di noi che andiamo per aiutarli, è qualcosa che fa bene al cuore e che
ci spinge sempre a ritornare.Questi tavolini arrivati proprio adesso sono qualcosa di molto
normale per noi, ma diventano una cosa preziosa per l?accoglienza che i bambini dimostrano,
il cibo viene servito: la solita polentina mangiata con le manine, ma seduti e sul tavolo!
Anche noi andiamo a mangiare e dopo ritorniamo da loro: i tavoli sono stati scansati, siamo
all’aperto, sotto una tettoia, i bambini sono stati messi a dormire per il riposo
pomeridiano e alcuni di loro si sono già addormentati. Sono sdraiati per terra, nella polvere
e sulle macchie di pipì più volte asciugate dal calore, gli occhi, la bocca e il naso invasi
dalle mosche le quali banchettano beatamente mentre i piccoli dormono senza scomporsi…
Ripenso ai biberon, ripenso ai tavolini, guardo i piccoli che ancora non dormono e che mi
tendono le manine per essere toccati, ripenso a tre anni fa quando la denutrizione era
talmente forte da farci venire il mal di stomaco e devo dedurre che di passi, anche se
piccoli ne abbiamo fatti tanti, sono consapevole di ciò e mi accontento, accenno al fatto
che la prossima volta affronteremo anche il problema del dormire in maniera più sana e più
igienica. Ci guardiamo negli occhi Antoinette Susanna ed io e con lo sguardo ci diciamo molte
cose compresa l?intesa di alleanza a voler dare una mano più grande ai nostri bambini.
Gran finale ad Abomey con l’animazione di Susanna, lei non parla francese, è una volontaria
di Pistoia che viene in Benin per la prima volta, ma è un’ottima animatrice, infatti riesce
a coinvolgere tutti i bambini in giochi e canzoncine italiane che loro ripetono seguendo
alla perfezione le direttive della nostra amica. Brava Susanna!